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Divina Commedia - Paradiso - Canto II - Introduzione Critica

Testo Integrale Riassunto Introduzione Critica Parafrasi

Una vecchia distinzione della Anche per il secondo canto, come per il primo, si pone il del rapporto fra dottrinalismo e trasposizione fantastica, problema, del resto, che è alla base di tutto il Paradiso. Per risolverlo la critica romantica ha abolito il primo dei due termini, negando al sapere filosofico teologico ogni interesse in campo poetico. Tale posizione dimentica di prendere in considerazione alcune Importanti realtà: 1) nel Medioevo la distinzione fra poesia e scienza non era posta in termini netti e precisi come per noi oggi; 2) certe questioni scientifiche (il termine "scientifico" è usato nella sua accezione più vasta e comprensiva), che sono ora lontane dalla nostra mentalità o almeno di scarso interesse, rivestivano, per Dante e il suo tempo, un valore essenziale; 3) il Paradiso è la conclusione di tutto un processo interiore, per cui ogni problema, trattato un tempo alla luce della sola ragione e del solo sapere filosofico (è il momento del Convivio), viene riesaminato, corretto e completato alla luce della fede, la quale proprio nella terza cantica si esplicherà in tutta la sua forza e la sua profondità. Questa ripresa di motivi e di problemi passati testimonia che la visione del Paradiso è intimamente legata all’esperienza di vita del Poeta, è frutto, come l’Inferno e il Purgatorio, dí questa esperienza. Non è perciò, né potrebbe esserlo, un’astratta esposizione in versi della Scolastica, bensì la descrizione dell’ascesi intellettuale e spirituale di Dante, fatta non come una confessione o un diario di tipo romantico e neppure nel genere di un dialogo ridotto ai due personaggi principali come il Secretum del Petrarca, ma nei modi di una ricostruzione rigorosa e obiettiva, perché solo questa rigorosità e obiettività le avrebbero permesso di proporsi come insegnamento agii uomini; 4) la visione di Dio, quale appare nel Paradiso, non può non proiettare in una dimensione religiosa tutto il creato. Come si possono, dunque, respingere, con l’accusa che sono di troppo, quelle pagine nelle quali il Poeta prende coscienza, e invita il lettore a fare altrettanto, che tutto l’universo si appoggia su basi metafisiche, che una sola legge, quella di Dio, governa le cose e che esiste nella molteplicità degli esseri un’unica fonte di attività? L’invito di Dante, proprio all’inizio di questo canto (e non senza ragione) è estremamente esplicito: mi seguano solo coloro che sono stati nutriti con il Pan delli angeli.Una volta dimostrata la necessità del dottrinalismo nella poesia del Paradiso, resta da considerare quando e con quali mezzi esso diventa vera poesia. Alcuni l’hanno trovata nel linguaggio metaforico, prodotto da una fantasia sempre viva e fervida, altri nella solennità del Busnelli) volle vedere, nella dottrina delle macchie lunari e del movimento dei cieli regolato dalle intelligenze angeliche, una ennesima affermazione di ortodossia tomista da parte di Dante, mentre, secondo il Nardi, il Poeta, pur senza opporsi decisamente al pensiero di San Tommaso, propende per la dottrina di Avicenna, che pose nel cielo una gerarchia di sfere, animate da un principio vitale e mosse da altrettante intelligenze separate.Tuttavia il secondo canto non è un’accademica discussione sulle macchie lunari, ma un momento, fra i più poetici, della crescita spirituale di Dante, simile a quello del canto primo: il momento in cui il pellegrino scopre che l’universo e un immenso, armonico organismo. Il Parodi ha, a questo proposito, un’osservazione molto penetrante: Dante "volle subito esporre il grande e, si voglia o no, grandioso e mirabile sistema cosmologico delle influenze e, come nel primo canto aveva cantato l’ordine reciproco di tutte le cose e l’ascensione dell’essere verso l’alto, in questo descriveva la perpetua irradiazione luminosa delle idee divine dall’alto verso il basso, compiendo con questi due momenti, che ne formano uno solo la prima e più generale sintesi dell’universo ".Il secondo non è dunque il "canto delle macchie lunari", come viene genericamente definito, ma è il canto nel quale Dante, prendendo a pretesto il limitato problema delle zone più o meno scure della luna, è impegnato a dimostrare come il molteplice derivi dall’uno e come, attraverso l’influsso dei cieli, animati dalle intelligenze angeliche, il mondo sia sempre guidato dalla superiore giustizia e dall’infinito amore di Dio. L’interesse e la passione con cui il poeta impegna il suo intelletto in questa sintesi suprema dell’universo impediscono alla poesia di trasformarsi in un’arida confutazione delle opinioni errate e in una semplice rivelazione delle verità trovate. Così nella prima parte del discorso di Beatrice "si sente il piacere intimo che nasce dalla confutazione dell’errore", mentre nella seconda si ha "un tono diverso, più alto e solenne, di una solennità quasi religiosa", che cerca "immensità luminose e una figurazione angelica e ridente dell’universo". (Fallani)
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