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Divina Commedia - Paradiso - Canto XXVI - Introduzione Critica

Testo Integrale Riassunto Introduzione Critica Parafrasi

Il XXVI non è uno di quei canti che si impongono immediatamente all’attenzione del lettore per unità di motivi ispiratori, per simmetrica vicenda d’immagini, per taglio sapiente di proporzioni. E’ il canto della carità o quello di Adamo ? E’ l’epica celebrazione dell’ordine dell’universo che, derivato da Dio, a Dio ritorna, oppure il canto nel quale il Poeta si limita a sfoggiare, nelle risposte di Adamo, la sua erudizione, preoccupato di correggere alcune affermazioni del Convivio (a proposito del problema delle lingue) ? E’ il canto caratterizzato dalla corpulenza di immagini come quella delle fronde onde s’infronda tutto l’orto dell’ortolano etterno o quella dell’animal che coperto Broglia o è il canto caratterizzato dalle suggestive figurazioni psicologiche dei versi 14-15 70-78, 82-84, 85-90? Tuttavia anche se in esso non si determina una compiuta unità lirica, si realizza una fondamentale sintesi contenutistica, grazie alla quale appare pienamente giustificata, di contro alla perplessità di alcuni critici, l’apparizione di Adamo e il ruolo assegnato al progenitore nel cielo delle stelle fisse.Salendo attraverso le sfere sottostanti, Dante ha analizzato e classificato, secondo un criterio etico, l’umanità, così che il Parodi può giustamente definire il paradiso delle sfere "una gerarchia e una didattica delle virtù"; ma in paradiso non si può pensare nessuna umana virtù se non già trasformata in virtù cristiana (volta, cioè, al raggiungimento di un fine sovrannaturale) e consacrata dall’apporto delle tre virtù teologali, le quali, infatti, dominano, dall’alto dell’ottavo cielo, tutte le altre. Giunto in questa sfera, Dante ha ormai ricostruito la natura umana nella sua perfezione originaria, quale era uscita dalle mani di Dio. Questa reintegrazione nell’ "innocenza" primitiva è resa possibile solo mediante l’intervento delle tre virtù teologali, (simboleggiato dal triplice esame sostenuto e superato da Dante, dal quale, non si dimentichi, sono rivissuti tutti i singoli momenti del ritorno dell’anima a Dio), che innalzano di nuovo l’uomo alla dignità di figlio di Dio dopo lo smarrimento nella selva oscura. Si impone, a questo punto, un rilievo necessario. Dopo la rivoluzione scientifica del XVII secolo, la natura umana viene comunemente considerata una materia sulla quale si esercita assiduamente lo studio e il progresso della scienza e dell’industria, e anche per i credenti la umanità è impegnata ad attuare uno sviluppo, a realizzare un complesso di possibilità prima solo implicite. Invece "lo schema culturale soggiacente all’operare della fantasia di Dante è... ancora quello della cultura antica, pre-cristiana: c’è una natura originale perfetta (l’età dell’oro, interpretata nel senso del paradiso terrestre), e tutta l’impresa umana consiste nel recuperare tale originaria perfezione" (Montanari). In Dante e in molti pensatori a lui contemporanei il fulcro della meditazione filosofico-teologica è la visione della natura umana del paradiso terrestre, splendida e perfetta in ogni sua azione, ornata dai doni preternaturali di integrità? immortalità, inerranza. In questa prospettiva non può più essere giudicato strano l’eccezionale rilievo conferito da Dante ad Adamo in questo canto, perché " alla nostra mentalità quantitativa - secondo l’affermazione del Montanari Adamo appare un primo prevalentemente numerico: alla mente di Dante Adamo appare come un archetipo che contiene in sé tutta l’umanità come natura. E perciò la liturgia di venerazione con cui Dante saluta, stupendo, Adamo è così solenne (come la fronda che flette la cima...)". In Adamo Dante onora la natura umana perfetta, contempla la sua insuperabile magnificenza, gode del suo destino di gloria. Il sentimento del peccato originale, vivissimo in tutto il Medioevo, che guardava alla colpa di Adamo come ad un doloroso fardello che gravava sull’umanità soffocandola, non lascia tracce profonde nella poesia di Dante, il quale, invece, preferisce insistere sulla grandezza e sulla dignità della natura umana destinata ad essere divinizzata: questo è il significato dell’apoteosi di luce con la quale viene celebrato Adamo e della glorificazione di Eva, quella ch’è tanto bella, ai piedi della Vergine (Paradiso XXXII, 5). Così, al termine della sua ascesa, prima della visione dell’Empireo, il Poeta vagheggia la creatura perfetta, quello che l’uomo fu, nel paradiso terrestre, per poco più di sei ore (versi 139-142) e quello che può ridiventare dopo la sofferta, combattuta esperienza religiosa, alla quale Dante ha dato un volto e una voce nella sua Commedia. L’apparizione di Adamo, dunque, non è che la logica conseguenza del triplice esame di Dante e, in modo particolare, di quello dedicato alla carità (si opera, in tal modo, una fusione fra la prima e la seconda parte del canto XXVI). Infatti l’amore del quale parla Dante, in risposta alle domande di San Giovanni, è l’ordine-forma dell’universo, il quale è stato creato da Dio per un atto di amore e verso Dio converge con tutte le sue creature. Questo mondo creato dall’Essere infinito, lungi dall’impaludarsi nel basso, si agita, si sforza di risalire e giunge di nuovo là da dove era venuto; ogni creatura arriva al posto assegnatole in virtù del proprio istinto, ma questo nell’uomo non si manifesta come aspirazione sorda o desiderio cieco, bensì come volontà chiara del proprio fine, che è quello di realizzare in sé la somiglianza con Dio: il modello di questa restaurazione è, appunto, Adamo. Dante, dopo aver assistito al trionfo di Cristo, ha superato l’esame sul valore dottrinale e vitale delle tre virtù sante, e, vivendo ormai tutto di esse e con esse, incorporato in Cristo, finalmente e naturalmente incontra il primo parente, redento: è un trionfo che congiunge la creazione con la redenzione, il passato con il presente, l’uomo antico col nuovo, che è Dante, cui è affidata dalla Provvidenza un’alta missione per la salvezza del mondo; questo trionfo avrà la sua consacrazione nell’inno di ineffabile allegrezza e di solenne lode con il quale si apre il canto seguente.
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